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Giudici rigidi sulle condizioni per assegnare la casa coniugale
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Articolo per Il Sole 24 ore
Il principio che il diritto alla casa coniugale è riconosciuto solo ed esclusivamente a tutela della prole sembra, dopo anni di dibattiti, divenuto un dogma per la Cassazione. Al punto che in una sentenza è stata valutata come intoccabile l’abitazione del marito a cui erano affidati i figli, anche se l’affidamento era dovuto al fatto che la moglie, indigente, era affetta da invalidità che le impedivano di prendersi cura della prole, e anche se al marito, benestante, era stata addebitata la separazione per continui adulteri nel periodo in cui la moglie si era ammalata.
La Cassazione, con un atteggiamento formalistico, ha voluto ribadire più volte che con “casa coniugale” si intende esattamente quella in cui al momento delle separazione viveva la coppia. Ed ecco che una moglie che se ne era andata in locazione altrove con il figlio, rinunciando al diritto alla casa di famiglia, si è vista rifiutare la possibilità “di ripensarci” per difficoltà economiche sopravvenute in seguito. Non ha quindi ottenuto la casa..
La Cassazione ha infatti affermato che con l’espressione “casa coniugale” non si intende, ai fini dell’assegnazione, quella in cui si è svolta in passato la vita della coppia, bensì l'ambiente fisico in cui al momento stesso della separazione, aveva luogo la convivenza. Quindi, quando al momento della separazione “i figli si siano già irrimediabilmente sradicati dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza”, l’assegnazione della casa familiare non ha più senso di esistere.
Per la verità questo tipo di interpretazione della Cassazione, potrebbe lasciar spazio a “manovre” da parte del marito o della moglie unici proprietari di una casa. Perché infattinon locarla o venderla prima della separazione o del divorzio, evitando così di vederla assegnata al coniuge con lui si è litigato?
A instillare un dubbio del genere è basta la lettura di alcune sentenze. Per esempio, due recenti della Cassazione (n. 13664/2003 e la n. 13065/2002), che hanno un tratto comune: il fatto che l’immobile dove risiedeva la famiglia era stato abbandonato pochi mesi prima del giudizio di separazione e locato ad altri Nel primo caso era però stato affittato a un fratello del marito a un canone assai basso, per essere poi essere venduto a un altro fratello. Perciò: la moglie aveva dichiarato in giudizio che il contratto di affitto e la successiva vendita erano stratagemmi per sottrarre l’abitazione all’assegnazione. Nella seconda sentenza a locarlo era stato un estraneo ai rapporti di parentela, macomunque ad equo canone.
Le due sentenze hanno visto comunque la Cassazione negare il diritto di assegnazione, senza voler approfondire se vi fosse in atto, o meno, un espediente truffaldino per rendere non disponibile l’abitazione stessa.
Figli: quando divenire indipendenti è un obbligo Ma fino a quando un figlio maggiorenne ha diritto di convivere con il genitore affidatario senza rendersi economicamente indipendente, tenendo così la casa “in ostaggio”del genitore affidatario? La questione è stata sviscerata dalla Cassazione in una sentenza che vedeva un ventinovenne, laureato in legge, continuare ad abitare con la madre.
La Cassazione ha dettato questo principio: il figlio ha diritto di rifiutare un lavoro non adatto ai suoi studi e ai suoi desideri. A due condizioni, però. La prima è che il rifiuto duri per un periodo di tempo accettabile, e cioè quello in cui le sue aspirazioni abbiano una ragionevole possibilità di essere realizzate. La con seconda condizione è che il rifiuto ad accettare un lavoro qualsiasi sia “compatibile con le condizioni economiche della famiglia”. Quindi, se la famiglia se lo può permettere, il figlio può restare a casa in attesa di trovare il lavoro dei suoi sogni (e l’abitazione resta al coniuge affidatario). Se invece i genitori non hanno abbastanza denaro, il figlio maggiorenne deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi, pur di rendersi autonomo (e la casa ritorna al legittimo proprietario). Conclusione incontrovertibile, dal punto di vista logico, ma un tantino “classista” dal punto di vista etico.