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Separazione: il mutamento delle condizioni
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Articolo per Il Sole 24 ore
L’assegnazione resta un fatto provvisorio, di durata indeterminata. Proprietario resta chi già lo è. Se i figli crescono e divengono indipendenti può essere revocata, e non è possibile rinunciare, neanche con contratto scritto, a questo diritto di revisione. Anzi, il coniuge unico proprietario che se ne deve andare, può perfino vendere la casa, senza bisogno di alcun permesso: non accade mai, semplicemente perché l’immobile resta comunque a disposizione dell’altro coniuge che l’ha avuto in assegnazione per tutto il tempo necessario, senza che l’acquirente possa opporsi.
Quando la casa verrà liberata, in seguito alla revisione dei patti, potrà essere spartita o venduta: il denaro ricavato andrà a chi ne è proprietario (a tutte e due o a uno solo).
Influenza sull’assegno di mantenimento. Per quanto il diritto all’assegnazione della casa sia un principio a sé, legato alla cura dei figli, non vi è alcun dubbio sul fatto che abbia un importante contenuto economico (con i prezzi che corrono sul mercato!). Quindi il giudice deve tenerne conto, riducendo in maniera più o meno proporzionale l’entità dell’assegno di mantenimento stesso.
Coniugi senza figli. Non vi è di regola assegnazione della casa familiare se i coniugi sono senza figli, nemmeno se uno dei due versa in gravi difficoltà economiche: per lui è già previsto l’assegno di mantenimento. Questo è almeno il parere consolidato della grande maggioranza dei tribunali, anche se fino a un decennio fa vi erano state sentenze che ammettevano l’assegnazione come metodo per regolare i rapporti economici tra coniugi
Altri immobili e altri beni. In caso di separazione gli immobili diversi dalla casa famigliare seguono il destino del resto del patrimonio. Attenzione: la fine della convivenza tra coniugi non implica per forza anche la separazione dei beni, anche se i coniugi erano in precedenza in regime di comunione. Questo perché la separazione è pur sempre una situazione provvisoria: niente impedisce che i coniugi decidano di riconciliarsi e la vita in comune prosegua.
Quindi la separazione dei beni va espressamente richiesta. I coniugi potranno anche, di comune accordo, stabilire veri e propri contratti tra di loro, per esempio decidendo il trasferimento da uno all’altro di immobili o altri beni. Sono accordi che avranno piena efficacia, come i contratti tra estranei. Su questi patti, il giudice non ha diritto di intromettersi, anche se è necessario che dia la sua “omologazione”, cioè il riconoscimento che sono legittimi.
Contenuto minimo della separazione. La richiesta di separazione può essere consensuale o giudiziale. Nel primo caso i coniugi dovranno mettersi d’accordo su almeno cinque punti. E cioè a chi affidare i figli minori o non autonomi, i tempi e i modi delle visite ai figli del genitore non affidatario, l’assegno di mantenimento del coniuge economicamente più debole, quello previsto per il mantenimento e l’educazione dei figli e infine a chi viene assegnata la casa coniugale.
Se invece la separazione avviene con lite davanti al giudice, sarà lui a decidere. Se essa viene addebitata interamente al comportamento di uno dei coniugi, l’assegno di mantenimento può essere sostituito da quello “alimentare”.
La differenza è importante. Il primo prevede che, nei limiti del possibile, il coniuge economicamente più sfavorito, continui ad avere lo stesso standard di vita precedente. Gli alimenti sono invece lo stretto necessario per vivere.
Mutamento delle condizioni della separazione. Vi è un principio, valido per tutta la disciplina della separazione. Non esiste né accordo tra coniugi (nel caso della separazione consensuale) né sentenza (nel caso di quella decisa dal giudice) che sia immutabile nel tempo. Ciascuno dei due può quindi richiedere, con giustificati motivi, che vengano rivoluzionati i rapporti stabiliti, perché sono intervenute nuove circostanze. Per esempio perché uno dei due coniugi ha aumentato o diminuito le sue entrate . Tuttavia, il semplice acquisto di un immobile da parte del coniuge separato non è stato giudicato dalla Cassazione come prova dell’incremento dei redditi (sentenza n. 11720/2003) e nemmeno la dichiarazione dei redditi è la prova definitiva della variazione degli introiti (sentenza n. 6970/2003).
E’ impossibile rinunciare, anche con accordo scritto, al diritto di pretendere la modifica dei rapporti stabiliti.
La vendita della casa assegnata Un’altra domanda che ha tormentato per decenni i giudici, nel tentativo di una soluzione interpretativa a leggi mal scritte e contraddittorie, è stata: cosa accade se si vende la casa assegnata dal giudice? Chi l’ha acquistata ha diritto di cacciare il coniuge non proprietario, a cui è stata affidata? Il diritto di assegnazione, per essere valido nei confronti dell’acquirente, deve (e, soprattutto, può) essere trascritto nei registri immobiliari? Di per sé, infatti, non rientra tra gli atti trascrivibili elencati nel codice civile…
Senza addentrarci nella cattedrale di argomentazioni leguleie, che dibattevano soprattutto della natura del diritto all’assegnazione, andiamo al nocciolo della risposta data dalla Cassazione, solennemente convenuta in Sezioni riunite (sentenza 26 luglio 2002, n. 11096) .Che è questo: chi ha la disgrazia di acquistare l’immobile, eredita come “inquilini a tempo indeterminato” (a canone gratuito e senza diritto ad indennità di occupazione) anche il coniuge affidatario del venditore e i suoi figli. A patto che, naturalmente, l’assegnazione sia avvenuta prima della vendita. E infine: il diritto all’assegnazione, per essere fatto valere, non deve essere trascritto, a meno che non duri per più di nove anni.
Non resta, all’acquirente, che tentare di chiedere la risoluzione del contratto di compravendita.